The Family Bones, 1 video in 25 mila post-it 
mercoledì, 13 giugno, 2012, 19:11 - Viral marketing


Un mosaico animato realizzato ad arte, per uno spettacolo da seguire... fino all'ultimo bigliettino!

Se mai avessi bisogno di qualcuno - Chiamami e arrivo subito. E per dirlo hanno utilizzato 25 mila post-it. Al loro video d’esordio The Family Bones hanno già conquistato le classifiche internazionali.

Il pezzo ‘If You Ever Need Someone’ è stato realizzato interamente in stop motion, una tecnica oramai diffusissima, se non fosse per il fatto che stavolta i protagonisti in movimento sono proprio i piccoli quadratini colorati che utilizziamo ogni giorno per scrivere i nostri messaggi.

Per realizzare il progetto, diretto dall’animatore Aaron Kaminar, la band di Los Angeles nata solo qualche mese fa, ha impiegato quattro mesi di duro lavoro. Ogni post-it è stato interamente scritto a mano e posizionato puntigliosamente ispirandosi all’arte del mosaico, creando una perfetta animazione.

l risultato è uno spettacolo semplicemente bello e geniale. Anche la musica è decisamente gradevole e, condividendola su Facebook o Twitter si può scaricare gratuitamente!
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Pimp my Mary 
mercoledì, 13 giugno, 2012, 10:14 - Generale


"Il progetto Pimp my Mary nasce dall’esigenza di comunicare un forte dissidio e distacco dalla commercializzazione dell’icona quanto tale. La spiritualità, per definizione distaccamento da tutto ciò che è materiale e terreno, ai giorni nostri, è diventata consumismo: le madonne che, come soldati, si ergono in fila negli scaffali dei rivenditori ricordando le lattine nei distributori automatici che vengono servite, consumate e collezionate".

Il progetto è arrivato alla sua seconda edizione, riuscendo ad attirare decoratori da tutto il mondo artistico e critiche da quello cattolico.
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Minimal è bello: prove tecniche di packaging essenziale 
martedì, 12 giugno, 2012, 21:47 - Generale


Versioni semplificate di etichette famose

I creativi dello studio Antrepo sono convinti che essenziale sia meglio e hanno rivisitato alcune fra le etichette di brand noti proponendo due diverse versioni: una semplificata e un’altra minimalista. Nella prima fase sono state eliminate tutte le immagini e le decorazioni, lasciando in evidenza il logo e i colori propri del brand, nella seconda invece il packaging è ridotto all’estremo, con il nome del prodotto su sfondo trasparente in sostituzione totale del logo.

Presentati sul loro sito sotto il claim Minimalist effect in the maximalist market, le nuove versioni delle etichette hanno lo scopo di riportare a un feeling essenziale verso il prodotto, che si mostra per quello che è senza fronzoli ed eccessi. Voi che ne pensate, una confezione così basic e semplice attira di più di quelle attualmente sul mercato? Le immagini elaborate sono davvero necessarie per invogliare all’acquisto? Mentre ci pensate, date uno sguardo alla versione minimal dei Durex!
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Lo spot di Twitter sfreccia in TV 
martedì, 12 giugno, 2012, 06:56 - Generale


Twitter ha trasmesso domenica 10 giugno, il suo primo spot televisivo durante il seguitissimo campionato automobilistico statunitense NASCAR.

Nella clip è ripreso il pilota Brad Keselowski seduto all’interno della propria vettura da corsa mentre scatta una foto con l’iPhone. ‘Vedi ciò che vede’ è lo slogan con cui termina il video seguito dall’URL twitter.com#NASCAR.

L’accordo stipulato tra Twitter e il brand NASCAR mira ad incentivare i numerosi tifosi della competizione, generalmente poco esperti di nuove tecnologie, all’utilizzo del social network.

Con questo spot pubblicitario per la prima volta Twitter si rivolge alla TV per promuovere i propri servizi rivolti ai brand, ovvero le nuove pagine sponsorizzate dedicate ad un determinato hashtag e denominate hashtag page. Una sorta di corrispettivo delle fanpage di facebook.

Nelle brand page del social sono presenti sia i tweet delle aziende sia quelli dei fan, con il risultato di rendere più completa ed esauriente la narrazione degli eventi in tempo reale.
Nell’hashtag page di NASCAR i tifosi hanno potuto seguire le riprese televisive, le fotografie e le indiscrezioni degli addetti ai lavori e si sono sentiti emotivamente coinvolti nella competizione.

Gli utenti sono stati letteralmente conquistati da questa nuova iniziativa che ha permesso loro di seguire ogni singolo momento della gara automobilistica.

Twitter sta lavorando parecchio per avviare nuove partnership con gli inserzionisti cercando di potenziare le proprie offerte pubblicitarie. Le nuove pagine permetteranno al social network di rimpinguare le proprie casse e ai brand di ottenere una fonte pubblicitaria valida.

Dopo l’esperienza NASCAR pensate che altri brand acquisteranno delle hashtag page di Twitter ?
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Artist creates dress from red wine 
martedì, 12 giugno, 2012, 06:50 - Generale


Contemporary artist Donna Franklin has created the world’s first dress made from red wine

In a collaboration with Bioalloy, which carries out research for the University of Western Australia (UWA), Franklin developed the fibrous cellulose fabric by introducing acetobacter – the bacteria used in the fermentation process of turning wine into vinegar – into vats of red wine.

The bacteria produces cellulose, which is chemically similar to cotton, when grown in a solution containing glucose.

Other alcohol, including beer, can be used in place of wine.

Gary Cass of Bioally chanced upon the material while attempting to make a cyborg with self-developing skin.

Cass went on to form fermented fashion label Micro’be’ with Franklin, which aims to “investigate the practical and cultural biosynthesis of clothing.”

“The Micro’-be’ garments are made from microbial cotton which forms on the surface of the wine, almost as if the bacteria are trying to form a raft to flow on the wine,” Cass told technology website Wired.co.uk.

“We have perfected a technique that will allow the bacteria to form a three-dimensional seamless garment that can be formed to fit the wearer like a second skin,” Cass added.

When dry, the cellulose becomes inflexible and easily torn – a large stumbling block if Micro’be’ is to go mainstream.

This is not Franklin’s first foray into fermented fashion – in 2007 she created a living fungus dress while working at UWA, feeding the dress special nutrients to promote its colour-changing properties.

At the time Franklin said she developed the dress to “challenge people’s perceptions of body-garment relationships and our relationship to the natural world.”

Cass meanwhile, is carrying out research into how the Micro’be’ material can be used in tissue engineering where microbial cellulose would be applied on the lower half of a wound and then seeded with stem cells.

“Fermented fashion doesn’t need to stay within the fashion world. It can inspire new thoughts in many other disciplines, such as medicine, engineering, dentistry or architecture,” he said.

The pair plan to release a new dress later this year.
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